Evoluzione della catena della sopravvivenza
Nel 1991, l’American Heart Association (AHA) pubblicò il documento: “Come migliorare la sopravvivenza da arresto cardiaco improvviso”; nel testo venne dato particolare risalto alla continuità e alla rapidità delle azioni che possono costituire una catena per il supporto della vita (concetto introdotto da Peter Safar alla fine degli anni ’80).
Nel 1991, l’American Heart Association (AHA) pubblicò il documento: “Come migliorare la sopravvivenza da arresto cardiaco improvviso”; nel testo venne dato particolare risalto alla continuità e alla rapidità delle azioni che possono costituire una catena per il supporto della vita (concetto introdotto da Peter Safar alla fine degli anni ’80).
Nel documento rilevarono la mancanza di facili approcci al miglioramento della sopravvivenza da arresto cardiaco, e che più persone sarebbero potute sopravvivere se si fosse attuata una sequenza di azioni il più rapidamente possibile.
La sequenza era costituita da 6 azioni:
1) Riconoscimento dei primi segni premonitori;
2) Attivazione del sistema di emergenza medica;
3) Rianimazione cardiopolmonare di base;
4) Defibrillazione;
5) Intubazione;
6) Somministrazione per via endovenosa di farmaci.
Queste 6 azioni furono raggruppate in 4 anelli; i 4 anelli vennero uniti a formare una catena: la catena della sopravvivenza:
1) Allarme: allerta i servizi di emergenza;
2) Supporto vitale di base (BLS): rallenta il tasso di deterioramento neurologico e cardiaco, guadagna tempo per consentire la defibrillazione;
3) Defibrillazione: ripristina la circolazione spontanea;
4) Supporto vitale avanzato (ALS): stabilizza il paziente e consente il trasferimento in ospedale per le cure definitive.
Il significato metaforico di “catena”, da sempre vuole far comprendere che se un anello è debole, le possibilità di sopravvivenza diminuiscono drasticamente fino ad annullarsi.
Inizialmente, anche se già s’immaginava che tutti gli anelli avessero ugual forza, alla domanda: qual’è il più importante? Era posta più attenzione sul primo anello, cioè sul riconoscimento dell’emergenza e l’allerta del sistema: se non si riconosce l’emergenza e non si comincia ad agire, la sopravvivenza è nulla. Negli anni seguenti ci fu una grossa distribuzione di defibrillatori e fu posto molto rilievo al 3° anello della catena: la defibrillazione, che essendo ampiamente accettato, come unico intervento possibile per risolvere una fibrillazione ventricolare, venne proclamato: “il singolo fattore indispensabile nel determinare la sopravvivenza da arresto cardiaco improvviso” (negli adulti).
Gli studi seguenti evidenziarono che la defibrillazione senza una RCP di alta qualità difficilmente avrebbe potuto garantire un efficace ripristino della circolazione spontanea.
Nel 2000, fu data enfasi al II e III anello, rappresentati come fusi a formare un solo anello: la defibrillazione senza RCP non può essere efficace, la RCP senza defibrillazione non può essere efficace!
Nel 2005 la catena della sopravvivenza è stata rivisitata per accentuare l’importanza della prevenzione dell’arresto cardiaco, il riconoscimento dei segni e dei sintomi che conducono all’arresto cardiaco e il miglioramento della rianimazione. Venne focalizzata l’importanza anche sulla buona ripresa della funzionalità cardiaca e cerebrale.
Nella nuova catena fu schematizzato un cervello che da grigio diviene blu, proprio per indicarne la ripresa della funzionalità: si rintrodusse l’ipotermia terapeutica come strategia vincente nel minimizzare i danni da mancata perfusione cerebrale. La successiva evoluzione della catena fu ancora più in linea con il concetto di catena stessa: ogni anello è indispensabile, l’efficacia di un sistema di emergenza non può essere identificato esaminando un singolo elemento, ma con la sola valutazione dell’intero sistema; solo il tasso di sopravvivenza alla dimissione ospedaliera può essere inteso come il “gold standard” per determinare l’efficacia del trattamento dell’arresto cardiaco.
L’obiettivo della rianimazione è di far tornare il paziente a casa propria e consentirgli la ripresa di una normale vita quotidiana: non deve avere disabilità fisica o neurologica, per cui nel 2010 è stato introdotto il quinto anello della catena della sopravvivenza, che propone cure intensive adatte alla sindrome post-arresto cardiaco. Questa sindrome deve essere curata da un team multidisciplinare che si occupa delle cure intensive adeguate ad aumentare la probabilità di un esito neurologico favorevole.